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Legambiente: 29mila kmq di aree marine sotto scacco delle compagnie petrolifere

Pubblicato il: 01/08/2014
Autore: Redazione GreenCity
Goletta Verde presenta il dossier “Per qualche tanica in più”. Legambiente: “Anche questo Governo non cambia strada. Continuare a rilanciare l’estrazione di idrocarburi è una strategia insensata che non garantisce nessun futuro energetico per il nostro Paese visto che le riserve certe garantirebbero il fabbisogno degli italiani per appena due mesi”.
Il “tesoretto” che le compagnie petrolifere continuano a cercare senza sosta, quell’oro nero tanto agognato e nascosto sotto il mare italiano ammonta a 9,778 milioni di tonnellate. Una quantità di petrolio che, stando ai dati sui consumi nazionali (59 milioni di tonnellate consumate in Italia nel 2013), sarebbe sufficiente a risolvere il nostro fabbisogno petrolifero per sole 8 settimane. Due mesi praticamente. 
"Basterebbero questi numeri a dimostrare l’assurdità della scelta energetica che il Governo italiano, si ostina a portare avanti. La ricerca di greggio del mare italiano più che l’elemento determinante per giocare un ruolo decisivo nel dibattito energetico internazionale, come sostiene il premier Matteo Renzi, sembra piuttosto l’ennesimo regalo alle compagnie petrolifere che hanno trovato nel nostro Paese un vero Eldorado. Poco importa se Comuni, Regioni e cittadini sono contrari a svendere il loro mare per pochi spiccioli. Anche sull’occupazione il confronto non tiene.  Investire oggi in efficienza energetica e fonti rinnovabili porterebbe nei prossimi anni i nuovi  occupati a 250 mila unità. Ossia più di 6 volte i numeri ottenuti grazie alle nuove trivellazioni" riporta in una nota Legambiente.
Storie e numeri, dettagliatamente riportati nel dossier “Per qualche tanica in più” che Legambiente ha presentato questa mattina a Vasto, in occasione dell’arrivo in Abruzzo della Goletta Verde, la storica campagna a difesa dei mari e delle coste italiane, chiedendo non solo a Governo e Parlamento di rivedere le scellerate scelte politiche in materia energetica che ogni Governo che si sta succedendo sta portando avanti con insolita determinazione, ma soprattutto che venga ridata voce e possibilità di scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie petrolifere.
“Cambiano, almeno formalmente, i Governi ma la logica resta sempre la stessa: favorire le compagnie petrolifere e mettere in serio pericolo una delle risorse più importanti che abbiamo nel nostro Paese – dichiara Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente -  Una scelta assolutamente insensata come dimostrano i risibili quantitativi di  petrolio in gioco. Lo stesso premier Renzi continua a sbandierare un rilancio delle estrazioni come  incremento dell’economia e dell’indipendenza energetica nazionale, quando a richiedere  permessi di ricerca e di estrazione sono per lo più compagnie straniere. Invece di ragionare su come aumentare la produzione di petrolio nazionale, avremmo potuto mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili. Ad esempio utilizzando i circa 4 miliardi euro che ogni anno “regaliamo” al settore dell'auto trasporto, come avvenuto nell’ultimo decennio, per una mobilità nuova e più sostenibile. Di certo avremmo avuto riduzioni della bolletta petrolifera e delle importazioni di greggio ben maggiori e durature rispetto al contributo che possono dare le poche quantità presenti nei  mari e nel sottosuolo italiano. Continuare a rilanciare  l’estrazione di idrocarburi è solo il risultato di una strategia insensata che non garantisce  nessun futuro energetico per il nostro Paese. È tempo che questo Governo si svincoli davvero dal passato e pensi seriamente a cambiare verso, per usare uno slogan molto amato dal nostro premier”.
In totale oggi in Italia le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per 29.209,6 kmq di aree marine, 5000 kmq in più rispetto allo scorso anno.
Tra le aree maggiormente interessate dalle estrazioni petrolifere ci sono il mar Adriatico che ha sotto scacco delle compagnie petrolifere 11.944 kmq, di cui 2 istanze di concessione, 17 di ricerca e 7 permessi già rilasciati per l’esplorazione dei fondali marini. C’è poi il canale di Sicilia dove le 5 piattaforme attive estraggono (dato a fine 2013) ben 301.471 tonnellate di greggio (42% della produzione nazionale a mare) e vi sono inoltre 3 richieste di concessione e altre 10 istanze di ricerca.
Infine lo Ionio dove oggi non si estrae petrolio ma sono attive richieste per la ricerca di greggio nel Golfo di Taranto. Un’area marina vietata alle attività di ricerca di petrolio fino al luglio 2011, quando un emendamento al testo di recepimento della direttiva europea sui reati ambientali ha di fatto riaperto anche questo tratto di mare alle società estrattive, che ha visto nell’ultimo anno raddoppiare le richieste, che sono passate da 8 a 16, per un’area complessiva di 10.311 kmq. A queste si devono aggiungere poi i 76419 kmq richiesti dalle società per avviare attività di prospezione, ovvero la prima fase di indagine per individuare le aree su cui poi eseguire ricerche più approfondite. Delle 7 richieste 3 riguardano l’Adriatico (una quello centro  settentrionale e due il tratto a largo delle coste pugliesi), una il mar Ionio, due il canale di  Sicilia e l’ultima il mar di Sardegna. 

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Categorie: Ambiente

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