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Oggi 22 maggio, giornata mondiale della biodiversità

Pubblicato il: 22/05/2015
Autore: Redazione GreenCity
Il rapporto 2015 di Legambiente: il 60% delle specie e il 77% degli habitat minacciati da innalzamento delle temperature, uso sconsiderato del suolo e eccessivo prelievo delle risorse.
In occasione del 22 maggio, giornata mondiale della biodiversità, Legambiente  fa il punto sullo stato di salute delle specie viventi, sui principali fattori di rischio a cui il nostro pianeta è sottoposto da anni (fonti inquinanti, sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, frammentazione degli habitat, cambiamenti del clima e invasione di specie aliene), e sulle strategie da adottare per far fronte alla perdita della diversità biologica.
Quest’anno il rapporto “Biodiversità a rischio 2015” si arricchisce del contributo di Carlo Rondinini, ricercatore presso l’Università di Roma La Sapienza e Coordinatore del Global Mammal Assessment dell’IUCN (l’Unione internazionale per la conservazione della natura).
Secondo i dati presentati nel primo Barometro della biodiversità italiana, su un campione di 2807 specie italiane di spugne, coralli, squali, razze e coleotteri, ben 596 sono a rischio di estinzione. Per i grandi mammiferi come lo stambecco e il camoscio appenninico lo stato di conservazione è migliorato negli ultimi cinque anni. Mentre tra gli uccelli quelli che vivono nelle foreste beneficiano di condizioni migliori rispetto a quelli legati agli ambienti agricoli, laddove l’intensificazione dell’agricoltura comporta la sparizione della vegetazione naturale.
Lo stato di conservazione delle circa 30 specie di pipistrelli è invece peggiorato. Per 376 specie, in particolare invertebrati o animali di ambiente marino, il rischio di estinzione è ignoto. Certo è che nei mari italiani la pressione esercitata su molte popolazioni animali, causata direttamente o indirettamente dalla pesca commerciale e sportiva, le ha ridotte numericamente già nei decenni passati. La grande pressione che subiscono i pesci cartilaginei dipende soprattutto dall'utilizzo di attrezzi di pesca non selettivi, dai quali sono catturati come bycatch (catture accessorie).
Nel complesso, quindi, la situazione non è positiva. La perdita – tra gli altri - delle funzioni del suolo, il degrado del territorio e i cambiamenti climatici continuano a preoccupare perché minacciano i flussi di beni e servizi ambientali alla base della produzione economica e del nostro benessere: acqua e aria pulita, suolo fertile, materie prime e cibo, sono beni essen­ziali per il benessere del genere umano su cui gravano pressioni globali che dagli anni novanta sono cresciute a un ritmo senza precedenti.
E le conseguenze potrebbero avere conseguenze drammatiche. Basti pensare alle 135 milioni di persone che rischiano nei prossimi anni di dover migrare a causa della desertificazione, ai 50 milioni di persone che vivono in foreste minacciate dalla deforestazione e al sovra sfruttamento del 96% degli stock ittici del Mediterraneo, a causa della pesca eccessiva e non sostenibile.
Da sottolineare, inoltre, l’aspetto economico che consegue alla perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi: secondo l’OCSE i danni economici per la perdita della biodiversità ammonteranno a una cifra tra i 2 e i 5 trilioni di dollari per anno, superiore alla ricchezza prodotta dalla stragrande maggioranza della nazioni della Terra. 
“Occorre ridisegnare una strategia di tutela della biodiversità, tenendo ben presente il ruolo che l’agricoltura può avere nella sua salvaguardia, soprattutto nell’anno di Expò -  ha dichiarato Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente -. Per questo possiamo ispirarci al recente Manifesto di Legambiente sull’agricoltura sostenibile e attenta alle caratteristiche degli ecosistemi. Ma è fondamentale anche il contributo che essa può dare nella lotta al cambiamento climatico, una delle principali cause di perdita della biodiversità. I dati raccolti dalla FAO ci dicono che le emissioni di CO2 provenienti da attività agricole convenzionali e di allevamento sono passate da 4,7 miliardi nel 2001 a 5,3 miliardi di tonnellate nel 2011 con un aumento del 14% avvenuto soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Queste, insieme alla concentrazione di agenti atmosferici come precipitazioni intense e siccità prolungate e alla comparsa di microrganismi, compromettono la salute delle piante. Sono noti i casi del batterio Xylella fastidiosa che ha infettato gli ulivi salentini e della Diabrotica virgifera che ha attaccato le piante di mais, conseguenze anche di eventi climatici estremi che hanno favorito lo sviluppo di insetti fitofagi e funghi, pericolosi anche per la salute dell’uomo e degli animali”. 
“Molte sfide ci attendono quindi – ha concluso Nicoletti -, ma anche molte storie di successo che grazie a progetti, campagne e iniziative hanno contribuito a porre un freno alla perdita della biodiversità, da replicare: dalla salvaguardia del camoscio appenninico, che all’inizio del ‘900 era sulla soglia dell’estinzione mentre oggi è arrivato a raggiungere i 2.000 esemplari circa, alla bella esperienza del Centro di recupero delle tartarughe marine di Manfredonia che da quando è stato istituito, nel 2007, ha recuperato ben 902 esemplari di tartarughe marine in pericolo”.  

Dossier completo: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/rapporto-biodiversita-2015.

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Categorie: Ambiente

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