Il quadro della presenza, in Italia, di residui di pesticidi negli alimenti e nell’ambiente è stato presentato da
Legambiente con la presentazione del suo dossier annuale, in occasione del
convegno Agricoltura libera da pesticidi organizzato dall’associazione stessa
in collaborazione con Alce Nero.
Stop Pesticidi di Legambiente racconta come il 61% dei campioni analizzati risulti regolare e privo di residui di pesticidi: un risultato positivo, che da solo però non basta a far abbassare l’attenzione su quanti e quali residui di prodotti fitosanitari si possono rintracciare negli alimenti e permanere nell’ambiente.
A preoccupare non sono tanto i campioni fuorilegge, che non superano l’1,3% del totale, quanto quel 34% di campioni regolari che presentano uno o più residui di pesticidi.La quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, che i laboratori pubblici regionali hanno rintracciato in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati, resta elevata.
Ma il problema vero è il multiresiduo, che la legislazione europea non considera come non conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano.
Il multiresiduo è più frequente del monoresiduo: è stato ritrovato nel 18% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 15% dei campioni con un solo residuo.
Come negli anni passati,
la frutta è la categoria dove si concentra la percentuale maggiore di campioni
regolari multiresiduo. È privo infatti di residui di pesticidi solo il 36% dei campioni analizzati, mentre
l’1,7% è irregolare e oltre il 60%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più di un residuo chimico. Il 64% delle pere, il 61% dell’uva da tavola e il 57% delle pesche sono campioni regolari con multiresiduo. Le fragole, spiccano per un 54% di campioni regolari con multiresiduo e anche per un 3% di irregolarità
. Alcuni campioni di fragole, anche di provenienza italiana, hanno fino a 9 residui contemporaneamente. Situazione analoga per l’uva da tavola, che è risultata avere fino a 6 residui. I campioni di papaya sono risultati tutti irregolari per il superamento del limite massimo consentito del fungicida c
arbendazim.
Per la
verdura il quadro è contraddittorio. Da un lato, il 64% dei campioni risulta senza alcun residuo. Dall’altro, si riscontrano significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti, come l’8% di peperoni, il 5% degli ortaggi da fusto e oltre il 2% dei legumi, rispetto alla media degli irregolari per gli ortaggi (1,8%). Ad accomunare la gran parte dei casi di irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i fungicidi, tra cui il più ricorrente è il
boscalid. Inoltre, alcuni campioni di pomodoro provenienti da Sicilia e Lazio presentano fino a 6 residui simultaneamente, e un campione di lattuga proveniente dal Lazio addirittura 8.
Passando ai
prodotti di origine animale, 11 campioni di
uova italiane (il 5% del totale campionato) risultano contaminate dall’insetticida
fipronil.
Le sostanze più presenti nei campioni analizzati sono, nell’ordine: il
boscalid, il
chlorpyrifos e il
fludioxonil. Al quarto e quinto posto troviamo il
metalaxil e il
captan, entrambi fungicidi, mentre in sesta posizione l’
imidacloprid, insetticida neonicotinoide di cui, per tutelare gli impollinatori, è entrato in vigore il divieto di utilizzo a partire dal 2019.
In generale, nel confronto tra i campioni esteri e italiani, quelli a presentare più
irregolarità e residui sono quelli esteri: sono irregolari infatti il 3,9% dei campioni esteri rispetto allo 0,5% di quelli nazionali, e presenta almeno un residuo il 33% dei campioni di provenienza estera rispetto al 28% di quelli italiani. Anche nei campioni di provenienza estera è la frutta la categoria in cui si osserva la percentuale più alta di residui: il 61% di tali campioni di frutta presenta almeno un residuo.
Tra gli ortaggi,
il 51% dei pomodori e il 70% dei peperoni esteri contengono almeno un residuo. Oltre alla percentuale più alta di multiresiduo, pomodori e peperoni presentano anche il maggior numero di irregolarità, rispettivamente il 7% e il 4% del totale analizzato.
Se lo scorso anno era un campione di foglie di tè verde, di origine cinese, a
contenere il più alto numero di residui, ben 21, quest’anno
il record è di un campione di peperone di provenienza cinese, con 25 residui di pesticidi. Al secondo posto c’è un campione di pepe, proveniente dal Vietnam, con 12 residui, seguito da una pomacea prodotta in Colombia con 15 residui diversi. In particolare,
14 campioni presentano da 6 a 25 residui contemporaneamente. Di questi uno arriva dalla Grecia e 13 sono di provenienza extra-UE.
Sul fronte dell’agricoltura biologica, i 134 campioni analizzati risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo campione di pere, di cui non si conosce l’origine, che risulta irregolare per la presenza di
fluopicolide. Non è possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale del fungicida. L’ottimo risultato è ottenuto anche grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.
In Italia, la percentuale di prodotti irregolari è passata dall’1% del 2007 all’1,3% del 2017, una leggera crescita, in linea con la percentuale europea di campioni irregolari, che l’Efsa stima nell’1,5% del totale. La media dei campioni analizzati in Italia nell’ultimo decennio, risultati regolari senza residuo è del 63% a fronte di una media europea del 54%. Fare un confronto sul multiresiduo rimane impossibile, perché Efsa non fa ancora la distinzione tra campioni regolari con un solo residuo e campioni con più residui.
“Solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con conseguenze che dipendono anche dal modo e dai tempi con cui le molecole si degradano dopo l’applicazione – dice il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti -. Le conseguenze si esplicano nel rischio di inquinamento delle falde acquifere e nel possibile impoverimento di biodiversità vegetale e animale. Effetti ai quali ancora oggi non si dà il giusto peso, nonostante numerosi studi scientifici abbiano dimostrato le conseguenze che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce sulla biodiversità e sul suolo. Per questo auspichiamo che il futuro Piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi preveda obiettivi ambiziosi e tempi rapidi per la loro riduzione; il rafforzamento del sistema dei controlli sugli alimenti e l’adozione di misure a tutela della salute delle persone”.
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