Il ghiacciaio più profondo d’Italia potrebbe sciogliersi completamente entro la fine di questo secolo e già in questi anni la sua fisionomia sta cambiando in modo vistoso, come dimostra la formazione di nuovi laghi dove prima c’era il ghiacciaio. La storia e il futuro dell’
Adamello sono stati al centro del convegno “L’impatto del cambiamento climatico sui ghiacciai alpini: il caso dell’Adamello”, organizzato da
Fondazione Lombardia per l’Ambiente in collaborazione con
Fondazione Cariplo per fare un bilancio del primo anno del progetto
ClimADA. Un tema che assume una connotazione di urgenza e dimostra in modo evidente e drammatico l’impatto del riscaldamento globale sul nostro ambiente: in particolare lo scioglimento dei ghiacci permanenti (quelli che si chiamavano “eterni”) per l’innalzamento della temperatura dell’atmosfera.
Le attività sviluppate nell’ambito di ClimADA rappresentano un tassello fondamentale per comprendere l’evoluzione del ghiacciaio dell’Adamello negli ultimi secoli, e soprattutto per ricostruire le condizioni climatiche e ambientali che si sono succedute e fornire informazioni funzionali a tracciare gli scenari futuri. Guardando al passato, lo studio si concentra attorno all’influenza antropica nell’area di alta montagna alpina, alla dinamica delle specie vegetali, agli avvenimenti epocali avvenuti negli ultimi secoli. I 224 metri di carota di ghiaccio conservati all’
EuroCold Lab dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, infatti, permetteranno di ricostruire il libro del clima degli ultimi 1.000 anni, analizzando gli effetti di eventi come la Prima Guerra Mondiale, che si è combattuta sull’Adamello, o del disastro di Chernobyl o di grandi incendi.
In ottica futura, oltre al modello predittivo elaborato dall’Università degli Studi di Brescia, il focus è sull’impatto del riscaldamento globale a livello della criosfera e sul regime dei
deflussi nei bacini alpini glaciali. Dalle analisi svolte è stato rilevato un aumento delle temperature dal 2006 a oggi con scarse prospettive di sopravvivenza del ghiacciaio per la fine del secolo. I primi ghiacciai destinati ad ammalarsi (e poi a morire) sono quelli cosiddetti “temperati”, cioè con temperature del ghiaccio appena sotto lo 0. Si tratta di ghiacciai e nevai esposti a sud e quindi tipici del versante italiano delle Alpi.
Le fibre ottiche installate dal Politecnico di Milano nel foro della carota contribuiscono al rilevamento della temperatura e della deformazione del ghiacciaio. Finora sono stati due i rilevamenti, che insieme ad altri in programma nei prossimi mesi, sono necessari a convalidare il modello termo-fluidodinamico del ghiacciaio, potendo contare anche sui dati ottenuti durante la missione di posa dei cavi (2021). I profili di temperatura misurati nei mesi estivi 2021 e 2022 con la tecnica Raman mostrano un range di valori sovrapponibile
con temperature non inferiori a –1.5 °C. La recente misurazione effettuata in novembre scorso ha restituito una temperatura all’interno del ghiacciaio decisamente inferiore, intorno a – 8 °C.
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