Circa tre giorni fa, poco prima che le autorità spagnole decidessero di chiudere lo spazio aereo nell’area interessata,
Greenpeace è riuscita a sorvolare il sito al largo delle Canarie dove il 15 aprile scorso è affondato il peschereccio russo
Oleg Naydenov. La ricognizione aerea ha portato al rilevamento di
una chiazza di idrocarburi lunga 70 chilometri che si dirige in modo preoccupante verso sud ovest.In particolare verso Capo Verde, arcipelago situato a circa 1.300 chilometri delle Canarie, la cui popolazione dipende in gran parte dalle risorse del mare - dalla pesca al turismo - e dove è presente quella che, per dimensioni, potrebbe essere la terza area al mondo di riproduzione della
tartaruga caretta (Caretta caretta). Nelle scorse ore, alcuni esemplari di tartaruga colpiti dalla fuoriuscita di idrocarburi sono già stati tratti in salvo e portati presso l’Istituto Canario de Ciencias Marinas.
«Affondare in alto mare l’Oleg Naydenov è stata una follia», afferma
Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. «Il combustibile continua a fuoriuscire, e adesso bisogna rimuovere con urgenza la parte che rimane nel peschereccio a duemila e quattrocento metri di profondità», continua. Greenpeace – a cui non è stato permesso di accedere all’area in cui il Ministero sostiene di aver avviato attività di disinquinamento -
ha chiesto di poter esser ospitata come osservatore sulla “Miguel de Cervantes”, nave incaricata delle operazioni, per assicurare trasparenza al processo e completare la verifica delle attività in situ del governo. Le preoccupazioni maggiori derivano dall’eventualità che vengano usate grandi quantità di disperdenti, sostanze che fanno “sparire” le chiazze di idrocarburi ma che sono altamente tossiche.
Dalle informazioni note a Greenpeace, solo una piccola percentuale del combustibile contenuto nel peschereccio è arrivata in superficie. Le immagini che saranno trasmesse dal ROV (Remotely Operated Vehicle, veicolo filoguidato subacqueo), che dovrebbe essere operativo nell’area da martedì, saranno fondamentali
per capire quanto carburante è andato davvero disperso e quanto invece è andato bruciato nel corso dell’incendio scoppiato a bordo mentre l’Oleg Naydenov era a Puerto de la Luz, Gran Canaria.
«Questo incidente conferma l’incapacità che le autorità spagnole dimostrano quando si tratta di dover gestire situazioni di questo tipo. Solo pochi mesi fa, proprio alle Canarie, Repsol ha effettuato trivellazioni – infruttuose – in cerca di petrolio. Se ci fosse stato un incidente che avrebbero fatto? Avrebbero trainato e affondato al largo una piattaforma di migliaia di tonnellate?», conclude Giannì.
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