I cambiamenti climatici possono provocare conseguenze profonde su alberi e piante. Un esempio? “C’è il rischio che vadano in confusione”, spiega Luca Corelli Grappadelli, professore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna. Attenzione, però, il problema non è legato solo alle estati sempre più torride e neppure all’eccesso (o alla mancanza) di precipitazioni. “Ci sono aree nel mondo – continua il professore – in cui vengono raggiunte temperature estremamente elevate e le piogge sono quotidiane, o quasi. Bene, in tali contesti le piante dimostrano di sapersi adattare in modo sorprendente”.
Ciò che potrebbe sfuggire ai più, ma che sarebbe importante considerare, è altro. “Gli inverni miti sono anch’essi un fattore negativo – afferma Corelli Grappadelli –, perché nella stagione rigida le piante perenni come gli alberi, grazie alle temperature basse, azzerano gli orologi biologici che regolano il ciclo di crescita annuale. Ciò permette di far ripartire il tradizionale ciclo di sviluppo, che prevede la crescita dapprima delle radici, poi dei germogli, con la differenziazione delle gemme, e l’eventuale ciclo della fruttificazione. Queste fasi, per essere sincronizzate tra loro, hanno bisogno del “reset” generale dell’inverno e delle sue basse temperature”.
Ergo, se gli inverni si mettono a “fare concorrenza agli autunni”, non arriva il segnale atteso e viene reso difficile che il nuovo ciclo vegetativo riparta nel momento opportuno. Ci sono conseguenze sia per gli alberi ornamentali che per quelli da frutto, ma nel secondo caso la situazione è più complessa. “Se portassimo un melo in Sudafrica – conclude la sua riflessione con un esempio –, avremmo una dimostrazione chiara di quanto descritto. Sì, perché l’inverno mite causerebbe la mancata sincronizzazione del ciclo di cui sopra. Le conseguenze? Sullo stesso ramo potremmo trovare gemme, foglie, fiori o frutti in una successione del tutto estranea a ogni regola dettata da Madre Natura”.
Per CLAI, la cooperativa agroalimentare di Imola, da sempre legata al tema della sostenibilità ambientale, il cambiamento climatico rappresenta un tema centrale. Tanto più che il suo quartier generale, Villa La Babina, è inserito all’interno di uno splendido contesto naturalistico, uno dei piccoli grandi patrimoni che fanno parte del network dei Grandi Giardini Italiani.
Questa stessa Villa e il suo giardino, grazie all’intervento di CLAI, sono stati coinvolti tra l’altro da una grande opera di riforestazione a Sasso Morelli estesa su 62mila metri quadrati, sopra i quali sono stati messi a dimora 3.140 piante, alberi e arbusti autoctoni ad alto valore ambientale. Una grande area verde in grado di regalare nuovo ossigeno, benessere e momenti di formazione, sport e cultura all’intero territorio di Imola.
Per cercare di approfondire alcuni aspetti legati a questi temi, insieme agli specialisti del settore, è stato organizzato un convegno, promosso dalla stessa CLAI, dall’Università di Bologna e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, dal titolo: “Giardino storico e cambiamento climatico: una sfida o un’opportunità”, che si è tenuto proprio all’interno di Villa La Babina.
“È stata una giornata di condivisione e crescita – è la chiosa di Giovanni Bettini, presidente CLAI –. Il rispetto per la natura e per la sua bellezza dovrebbe essere un impegno fondamentale e categorico per ogni attività d’impresa. La capacità di mettersi in connessione con l’ambiente che ci circonda contribuisce infatti a definirci e ad assegnarci un valore come esseri umani. Lo splendido giardino che circonda Villa La Babina è un valore aggiunto straordinario per CLAI: lavorare ogni giorno in mezzo a tutto questo verde e a questa bellezza è uno stimolo ulteriore a far bene il nostro lavoro e a prendere decisioni sempre più sostenibili”.
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Categorie: Ambiente
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