Legambiente: residui di pesticidi arrivano nel piatto

Dossier Stop pesticidi di Legambiente: quasi la metà dei campioni analizzati contiene residui di pesticidi, nella frutta oltre il 70%. L’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo.

Autore: Redazione Greencity

Il dossier Stop Pesticidi, elaborato da Legambiente ci dice che i pesticidi più diffusi negli alimenti in Italia sono Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Sono per la maggior parte fungicidi e insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra salute.
L’edizione 2020 del rapporto dell’associazione ambientalista fotografa una situazione che vede risultare regolare e privo di residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Senza dubbio, un risultato non positivo e che lascia spazio a molti timori in merito alla presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando nel dettaglio i dati negativi, si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi.Cattive notizie anche in merito alla quantità di residui derivanti dall’impiego di prodotti fitosanitari in agricoltura: i laboratori pubblici regionali ne hanno trovato traccia in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati in elevata quantità.
Preoccupanti inoltre i dati del multiresiduo, che – è bene ricordarlo – la legislazione europea non considera non conforme a meno che ogni singolo livello di residuo non superi il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano. Proprio il multiresiduo risulta essere più frequente del monoresiduo, essendo stato rintracciato nel 27,6% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 17,3% dei campioni con un solo residuo.
Come negli anni passati, la frutta è la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari multiresiduo. Ad essere privo di residui di pesticidi è solo il 28,5% dei campioni analizzati, mentre l’1,3% è irregolare e oltre il 70%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più residui chimici. L’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere, e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo. Le mele spiccano con il 75,9% di campioni regolari con residui e registrano l’1,8% di campioni irregolari. Alcuni campioni di pere presentano inoltre fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione analoga per il pompelmo rosso e per le bacche di goji che raggiungono quota 10 residui.
Diverso il quadro per la verdura: se, da una parte, si registra un incoraggiante 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro fanno preoccupare le significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il 6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi. Tali dati, se analizzati in riferimento alla media degli irregolari per gli ortaggi, che è dell’1,6%, destano preoccupazione.
Ad accomunare la gran parte delle irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi (54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’utilizzo di sostanze non consentite per la coltura (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono presenti entrambe le circostanze. Le sostanze attive che più hanno determinato l’irregolarità sono l’organofosforico Chlorpyrifos nell’11% dei casi e il neonicotinoide Acetamiprid nell’8% dei casi. Altro dato da sottolineare è la presenza di oltre 165 sostanze attive nei campioni analizzati. L’uva da tavola e i pomodori risultano quelli che ne contengono la maggior varietà, mostrando rispettivamente 51 e 65 miscele differenti.
Tra i campioni esteri, la Cina presenta il tasso di irregolarità maggiore (38%), seguita da Turchia (23%) e Argentina (15%). In alcuni di questi alimenti non solo sono presenti sostanze attive irregolari, ma anche un cospicuo numero di multiresiduo. È il caso, ad esempio, di un campione di bacca di goji (10 residui) e di uno di tè verde (7 residui), entrambi provenienti dalla Cina. Degno di nota è anche un campione di foglie di curry proveniente dalla Malesia nel quale, su 5 residui individuati, 3 sono irregolari.
Sul fronte dell’agricoltura biologica, su 359 campioni analizzati 353 risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo campione di olive, di cui però non si conosce l’origine. Non è quindi possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale di fitofarmaci. L’ottimo risultato è ottenuto, tra le altre cose, grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.
“Serve una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Per capire l’urgenza di questa transizione, si pensi alla questione del glifosato, l’erbicida consentito fino al 2022, nonostante il 48% degli Stati membri dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità; l’Italia inizi dalla sua messa al bando. Inoltre, per diminuire la chimica che ci arriva nel piatto è necessario adeguare la normativa sull’uso dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.

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