Il Covid porta alla chiusura di 5mila agriturismi italiani

“Servono dunque ristori immediati e un piano nazionale che metta in campo tutte le azioni necessarie per non far chiudere per sempre attività che rappresentano un modello di turismo sostenibile grazie ai primati nazionali sul piano ambientale ed enogastronomico” afferma Diego Scaramuzza, presidente degli agriturismi di Terranostra Coldiretti.

Autore: Redazione Greencity

Oltre 5mila agriturismi sono costretti a chiudere nelle aree classificate di gravità massima o elevata in base al rischio contagio da coronavirus, dove è stata totalmente inibita l’attività di ristorazione. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulle conseguenze nelle campagne del nuovo Dpcm pubblicato in Gazzetta Ufficiale che individua tre livelli di rischio lungo la Penisola con limitazioni alle attività produttive e agli spostamenti.
Sulle aree del territorio nazionale caratterizzate da uno scenario di elevata gravità e in quelle di massima gravità – sottolinea la Coldiretti – sono sospese tutte le attività di ristorazione e quindi, anche la somministrazione di pasti e bevande da parte degli agriturismi. Si tratta – precisa la Coldiretti – di un colpo drammatico a più di 1 azienda agrituristica su 5 attiva livello nazionale con la cancellazione di oltre 140mila posti a tavola. Nelle zone critiche rosse e arancioni è infatti consentita la sola consegna a domicilio – continua la Coldiretti – nonché fino alle ore 22 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle vicinanze dei locali.
Oltre la metà (57%) degli agriturismi costretti alla serrata si trova fra Lombardia e Piemonte e il resto fra Puglia, Calabria, Sicilia e Valle d’Aosta.
Limitazioni permangono però anche sulla parte del territorio nazionale fuori dalle due fasce più critiche dove – evidenzia la Coldiretti – le attività di ristorazione sono consentite solo dalle ore 5,00 alle 18,00 con la possibilità sempre della consegna a domicilio, nonché fino alle ore 22 della ristorazione con asporto. La gran parte delle aziende, che si trovano lontano dai centri urbani, la pausa pranzo – conclude la Coldiretti – non è sufficiente per garantire la copertura dei costi e quindi si preferisce chiudere.

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